LA SCRITTURA DELL’ECCESSO IN RABELAIS
Rabelais
intraprese diversi viaggi in Italia, soprattutto a Roma e in Piemonte, dove
ebbe la possibilità di confrontarsi con la letteratura Italiana del tempo e di
ispirarsi alle opere di importanti autori italiani come Pulci, Folengo e
perfino Castiglione. Rabelais resta però lontanissimo dal senso della misura e
dell’equilibrio che era proprio di Cortigiano, e semmai riprende e sviluppa in
modi originalissimi la tendenza ad una scrittura dell’eccesso presente in Pulci
e Folengo.
Essa si manifesta sul piano dell’invenzione tematica e di quella
linguistica. Il plurilinguismo di Rabelais spazia dai numerosi tecnicismi agli
arcaismi tratti dalle lingue classiche, dal linguaggio della disquisizione
filosofica a quello plebeo e dialettale. Inoltre egli crea numerosi neologismi,
deformando parole già esistenti e inventandone di integralmente nuove.
“Ad
ogni foglio si incontrano, audacemente accostate, scurrilità geniali, o
ribalde, o melense, ed insieme citazioni (autentiche e non, quasi tutte fatte a
memoria) da testi latini, arabi, ebraici; dignitose e sonanti esercitazioni
oratorie; sottilità aristoteliche da cui si diparte una risata da gigante,
altre sottoscritte ed avallate con la buona fede dell’uomo di vita pura.
[…] L’insegnamento
rabelaisiano è estremistico, è la virtù dell’eccesso: non solo Gargantua e
Pantagruele sono giganti, ma gigante è il libro per mole e per tendenza;
gigantesche e favolose sono le imprese, le baldorie, le diatribe, le violenze
alla mitologia e alla storia, gli elenchi verbali.”- Primo levi, "L'altrui mestiere"
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