L’originalità della
rappresentazione, nel Gargantua e Pantagruele, sta nel fatto che essa genera
nel lettore una profonda insicurezza per il rapido mutamento del punto di vista
e per la straordinaria ricchezza di prospettive.
La lingua di Rabelais è
una lingua visiva, che unisce la parola all’immagine e dà alla rappresentazione
una forza fantastica. Il ricorso all’iperbole e all’accumulazione, il gusto del
dettaglio portato fino al paradosso provocano un’alterazione dimensionale e una
continua sfaccettatura delle cose, illuminate da molteplici punti di vista.
Gargantua e Pantagruele
è un libro molto amato dallo scrittore Primo Levi: per concludere
quest’argomento riportiamo la sua opinione a riguardo dell’opera in quanto
riflette pienamente la concezione a noi contemporanea.
Secondo Levi questo
romanzo è pieno di ottimismo e rappresenta uno dei frutti più alti della
società del Rinascimento: Rabelais è convinto della bellezza della vita e ne
esalta i piaceri materiali. In particolare Panurge, che è quasi il personaggio autobiografico, rappresenta il
prototipo dell’uomo moderno che, pur con tutte le sue contraddizioni, ha
fiducia nel futuro e vive con pienezza.
L’atteggiamento
vitalistico e l’esaltazione della “virtù dell’eccesso” entrano in conflitto con
l’ascetismo della morale religiosa del tempo e sembrano contraddire l’immagine
biografica del Rabelais monaco francescano, saggio e misurato, che è arrivata
fino a noi.
Nel Gargantua e Pantagruele tutto è smisurato,
eccessivo.
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